Federica Rugnone
stampa su carta cotone Canson Rag 310g
70 × 47 cm, Camminare nel bosco, poggiare il piede nudo sulla terra,
sentire l’aria farsi respiro, l’umidità diventare pelle. Il corpo,
quell’unione tra attività e passività che ci permette di abitare
il mondo, ci mette in contatto, nostro malgrado, con gli
altri esseri viventi. Entriamo, ma sarebbe più corretto dire
“siamo”, immersi in una carnalità come afferma Merleau
Ponty che segna una continuità tra soggetto e oggetto,
interno e esterno.
È allora che nascono somiglianze possibili, dove l’anatomia
del corpo rivela la struttura di un albero, di una foglia,
di una pianta, di un fiore – omologie che danno ragione
di una comune discendenza. Il senso di superiotità che
avvolge l’homo sapiens sapiens si mostra ingiustificato e
rischioso. Sembra infatti che quell’amore inscritto secondo
alcuni nel nostro genoma nei confronti di ciò che è vita, si
stia offuscando a causa di una modalità di rapportarsi con
il mondo predatoria. Ci consideriamo al di sopra, manteniamo
a fatica il patto sociale che ci eleva dallo stato di natura
senza renderci conto che alla base di questo un altro
contratto andrebbe prima stipulato; quello naturale, che
non prevede distacco, uso, divisione, controllo ma, empatia,
interdipendenza, fluidità.
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